«IL PORTO FRANCO HA SIGNIFICATO APERTURA, SOGNI E PROGRESSO». E OGGI?

Riportiamo un estratto dell’articolo, firmato da Lisa Corva e intitolato “Strategie d’attracco”, apparso su IL, mensile de Il Sole 24 Ore (n. 100).

A volte per progettare il futuro bisogna partire dal passato. Trieste, il più grande porto d’Italia, lo fa, tornando al 18 marzo 1719. Perché è esattamente in quel giorno che Carlo VI d’Asburgo istituì il Porto Franco. Sono passati 300 anni; Trieste è stata, anche grazie all’illuminata Maria Teresa, il glorioso porto dell’Impero austroungarico, e ora è qui, magica e quasi addormentata. Perché ripartire dal 1719? «Perché, in un momento in cui il mondo sembra chiudersi su se stesso, è importante guardare al passato e all’audacia di una decisione così moderna», spiega a IL Zeno D’Agostino, presidente del Porto di Trieste. «Nel 1719, quando ancora si pagava un dazio per andare dalla campagna alla città, il Porto Franco ha significato apertura, sogni, progresso. Ha aperto la città dal punto di vista economico, sociale e religioso. Perché non riprovarci adesso?»

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IL PRIVILEGIO DI TRIESTE? SECONDO MARX, NON AVERE PASSATO

Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, l’ascesa commerciale di Trieste ha coinciso, di fatto, con il tramonto del dominio veneziano sull’Adriatico (e non solo). Ci sono tante ragioni con le quali è possibile spiegare questo fenomeno, ma ve n’è una particolarmente interessante che è stata notata, tra gli altri, nientemeno che da Karl Marx. Nel 1856, infatti, il 38enne filosofo tedesco tirava a campare scrivendo articoli di critica economica per varie testate, tra cui il New York Daily Tribune. Due di questi (che è possibile leggere qui nella versione completa in lingua inglese) affrontavano proprio il tema, allora scottante, della crescente potenza economica dell’Impero Austriaco.

Con la sua originalità e la sua capacità di visione, Marx fu capace, già all’epoca, di cogliere una caratteristica unica di Trieste: quella di non avere – al pari degli Stati Uniti d’America, come suggerisce il parallelismo dell’articolo – un passato. Di essere stata, cioè, libera da vincoli, tradizioni e appesantimenti tipici invece della secolare potenza veneziana, di aver potuto progettare praticamente da zero il proprio futuro e il proprio ruolo nello scenario internazionale. A distanza di più di 150 anni la situazione pare essersi capovolta; in meno di due secoli, infatti, Trieste ha accumulato una ‘densità’ di fatti storici, di conflitti e lacerazioni tali per cui oggi appare molto più zavorrata di quanto, di fatto, potrebbe ancora essere.

Il nostro auspicio, con TS4 trieste secolo quarto, è di fare in modo che il riferimento alla storia passata sia uno stimolo per guardare avanti, anziché per voltarsi costantemente indietro. Di stimolare cioè l’immaginazione civica e la carica progettuale che a Trieste continua ad esistere, anche se spesso fortemente limitata da preconcetti, sensi di inferiorità e scarsa capacità delle istituzioni di favorire l’innovazione e lo sviluppo.

Riccardo Laterza

 

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Il seguente estratto, tradotto in italiano, è apparso su Il Piccolo il 20 febbraio 2008.

Si può dire che il commercio marittimo austriaco ha inizio dall’annessione di Venezia e dei suoi possedimenti adriatici, avvenuta con la pace di Campoformido e confermata con la pace di Luneville. Napoleone fu dunque il vero fondatore del commercio marittimo austriaco.

Vero che, accortosi dei vantaggi che l’Austria ne traeva, ritolse on il contratto di Presburgo e con la pace di Vienna del 1800, le concessioni già date. Ma ormai l’Austria era in cammino; nel 1815 colse la palla al balzo per riaver l’Adriatico.

Il centro di questo commercio marittimo fu Trieste, che presto emulò ogni altro porto austriaco. Ora, essa vince tutti gli altri porti riuniti, Venezia compresa. Non furono i favori del Governo austriaco, né gli sforzi pertinaci del Lloyd austriaco. Al principio del secolo XVIII, Trieste era una piccola rada rocciosa, abitata da pochi pescatori: nel 1814, quando le forze francesi sgombrarono l’Italia, Trieste si era fatta porto commerciale, con 23.000 abitanti e il suo commercio superava tre volte quello di Venezia.

Nel 1835, un anno prima che il Lloyd austriaco nascesse, contava già 50.000 abitanti e, poco dopo, occupava il secondo posto dopo l’Inghilterra nel commercio con la Turchia, il primo nel commercio con l’Egitto.

Perché Trieste e non Venezia? Venezia era la città delle memorie; Trieste aveva al pari degli Stati Uniti, il vantaggio di non possedere un passato. Popolata di commercianti e speculatori italiani, tedeschi, inglesi, francesi, greci, armeni, ebrei in variopinta miscela, non piegava sotto le tradizioni. Mentre il commercio veneziano dei cereali non usciva dai vecchi rapporti, Trieste allacciava il suo destino con la stella sorgente di Odessa, e al principio del secolo XIX, escludeva la rivale dal commercio mediterraneo dei cereali. Il colpo recato alle antiche repubbliche mercantili d’Italia, alla fine del XV secolo, dalla circumnavigazione dell’Africa, si ripetè, attenuato, col blocco continentale di Napoleone.

Gli ultimi resti del commercio veneziano furono distrutti. I capitani veneziani, disperando di risorgere, trasferirono i loro capitali sulla sponda opposta, ove il commercio terrestre triestino accennava a raddoppiare di attività. Così fu Venezia stessa a determinare il trionfo di Trieste; destino comune a tutti i padroni del mare. L’Olanda creò la grandezza dell’Inghilterra, l’Inghilterra edificò la fortuna degli Stati Uniti.

Trieste, legata all’Austria, fruiva di privilegi naturali, inaccessibili a Venezia. Era lo sbocco di un Hinterland vastissimo, mentre Venezia era stata sempre un porto isolato e lontano, cui l’altrui generale inconsapevolezza aveva consentito di impadronirsi del traffico mondiale. Il prosperare di Trieste sorge dallo sviluppo delle energie produttive e dei trasporti in quel gran complesso di paesi che sta nel dominio dell’Austria.

Si aggiunga la prossimità della costa orientale adriatica, base di un cabotaggio quasi sconosciuto ai veneziani, e vivaio di una ardita razza marinara che Venezia non seppe dar mai. Come Venezia decadeva col rafforzarsi dell’impero ottomano, così Trieste saliva col prepotere dell’Austria sulla Turchia. Anche alla sua età dell’oro il commercio di Venezia soffriva delle divisioni politiche del commercio orientale. Da un lato la via commerciale del Danubio era estranea alla navigazione veneziana: dall’altro i genovesi, protetti dai greci, dominavano il commercio con Costantinopoli e col mar Nero; mentre Venezia sollecitata dai re cattolici monopolizzava il commercio della Morea, di Cipro, dell’Egitto e dall’Asia minore. Solo Trieste poteva allacciare tutto il commercio orientale col danubiano. Quanto al centro di gravità del commercio adriatico, la posizione privilegiata di venezia verrà probabilmente recuperata da Trieste, grazie all’apertura del Canale di Suez.

La Camera di Commercio di Trieste, non solo si è associata alla Società francese per il canale di Suez, ma inviò agenti nel mar Rosso e sulle coste dell’Oceano Indiano a studiarvi e promuovervi operazioni commerciali. Aperto il Canale, Trieste provvederà le merci indiane a tutta Europa. Dal triennio 1846-’48 al triennio 1853-’55, essa ebbe un incremento commerciale del 68%, assai superiore a quello della stessa Marsiglia.

Tuttavia il commercio e la navigazione triestina sono ancora ben lontani dal punto di saturazione. Si pensi soltanto alla condizione economica dell’Austria, ai suoi mezzi di trasporto arretrati, a tanta parte della sua popolazione che veste ancora pelli di pecora… Con lo sviluppo dei mezzi di trasporto il commercio triestino penetrerà all’interno.

RIPENSARE TRIESTE DAI SUOI MARGINI

La periferia di Trieste è stata piuttosto vitale fino alla fine degli anni sessanta. C’erano tutti i presupposti perché dilatasse i suoi lembi esterni verso le zone ancora poco abitate e quelli interni penetrassero invece spontaneamente nel centro cittadino. Ma non è accaduto. Al contrario, si è contratta, svuotata, è diventata ancora più periferia: negozi abbandonati, edifici degradati e lasciati all’entropia, scarsa o nulla manutenzione, diradamento del verde pubblico e dei servizi.

Da una parte tutte le leggi e disposizioni punitive nei confronti delle piccole attività, dall’altra la concessione di spazi sempre più ampi alla grande distribuzione e ai centri commerciali, hanno contribuito a desertificare persino i rioni popolari e quelli poco distanti da strade e piazze principali.

La tendenza a concentrare gli investimenti prevalentemente nella cura delle zone centrali, trascurando l’ampia fascia suburbana, è poi stata fatale.

Gli abitanti delle periferie non sono mai stati presi troppo in considerazione, e quando hanno avuto aspettative sono sempre rimasti delusi.

Lo studio dei problemi di queste aree è una delle priorità di TS4, perché le città crescono quando le opportunità e le risorse sono distribuite su tutto il territorio, non solo nel suo nucleo.

Livio Cerneca

 

foto: Paolo Carbonaio

 

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TRIESTE È SEMPRE PIÙ VUOTA?

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Trieste (1910-2018)

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Marsiglia (1910-2018)

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Rotterdam (1910-2018)

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Genova (1910-2018)

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Livorno (1910-2018)

Quello che ci interessa nei numeri sopra riportati non è tanto la loro grandezza assoluta quanto la loro variazione nel tempo. Prendendo come riferimento alcune città costiere e portuali europee che non sono metropoli, e quindi per certi versi assimilabili a Trieste, osserviamo che nel corso del XX secolo c’è stato un incremento del numero di abitanti, mai vertiginoso, in alcuni casi sensibile, in altri più trascurabile, ma pur sempre un incremento. Nella nostra città, invece, non solo la popolazione non è cresciuta, ma è addirittura leggermente diminuita. Il primo porto in Italia per movimentazione di merci si sta spopolando.

Cosa è successo? Cos’ha frenato il pur contenuto sviluppo che altrove sembra essere stato fisiologico?

La posizione geografica, favorevolissima, è stata resa critica dalla Storia del Novecento e, insieme a scelte politiche poco avvedute e all’assenza di un progetto di sviluppo organico, ha finito col diventare penalizzante.

Il XX secolo è terminato da quasi vent’anni eppure Trieste subisce ancora i suoi effetti; invece di mettersi al lavoro per valorizzare la sua naturale collocazione di punto più a nord in cui il Mediterraneo tocca l’Europa, recuperare la tradizione mercantile e industriale, nutrire l’attitudine scientifica, continua ancora a vivere in un noioso sogno di irredentismo, guerra fredda e valzer viennesi.

Trecento anni fa fu proclamato il Porto Franco di Trieste. La corona asburgica firmò l’atto nella persona di Carlo VI, ma dietro a quell’intuizione c’era stata la pressione di funzionari illuminati, scaltri operatori di commercio, maestranze locali che fiutavano buoni affari e amministratori pronti a prendersi delle responsabilità.

Oggi abbiamo bisogno di una nuova intuizione che, ne siamo sicuri, esiste già nelle idee di molti triestini.

Il compito di TS4 è di individuarla, farla crescere e contribuire a realizzarla.

Livio Cerneca

 

foto: il mercato in Piazza della Legna, ora Piazza Goldoni, nei primi del ‘900. Collezione privata. 

 

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VOGLIAMO UNA GRANDE CITTÀ, NON UNA CITTÀ GRANDE

Una grande città non è necessariamente una metropoli. Una grande città è più una questione di attitudine mentale che di grattacieli, traffico caotico e parcheggi sotterranei. È una vocazione ad accettare con curiosità alcuni rischi, uno spazio a più dimensioni pieno di opportunità favorite da un alto livello di tolleranza senza la necessità di minacciosi anatemi e divieti stringenti.

Vivere in una grande città richiede la capacità di non farsi prendere da attacchi di panico. La grande città è piena di imprevisti che possono diventare occasioni.

Livio Cerneca

 

foto: carico/scarico, di Riccardo Laterza

 

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