Pubblichiamo, su gentile concessione dell’autore Sergio Bologna, un estratto dal libro Ritorno a Trieste (Asterios, 2019).
TRIESTE E IL SUO PORTO, UNA STORIA MOBILE
Riportiamo un estratto dell’articolo, firmato da Isabella Mattazzi, apparso su Il Manifesto del 10 Agosto 2019. Qui l’articolo completo.
Quando nel 1751 D’Alembert scrive il Discorso preliminare all’Encyclopédie, immagina la sua opera come una grande rete, un labirinto di tracciati del tutto sovrapponibile a una mappa stradale in cui il lettore sembra potersi muovere lungo infinite direzioni, spostandosi da un punto all’altro del sapere attraverso una molteplicità di scelte. Quello che sarà il più grande progetto culturale della modernità si rappresenta così, fin dal suo esordio, sotto forma di un sistema mobile, in cui lo scambio, il movimento, il flusso di idee diventano l’unica condizione necessaria per la costruzione della conoscenza.
Ma che tipo di rete poteva avere sotto gli occhi D’Alembert mentre scrive il Discorso preliminare? Qual era il modello più immediato e concreto di rete per un uomo del Settecento?
Le strade del servizio postale sono il primo oggetto, in Francia, a essere rappresentato dalla cartografia tematica moderna. Stazioni di cambio dei cavalli, distanze in leghe, diventano il linguaggio quotidiano per descrivere il mondo. Anche il mare si trasforma. Il 18 marzo 1719, Carlo VI elimina i dazi doganali all’intero del porto di Trieste, dichiarandolo Porto franco.
Se apparentemente questa può sembrare una semplice agevolazione commerciale, a partire dal XVIII secolo si inizia a capire che lo sviluppo di una società si produce non soltanto grazie all’economia, ma anche grazie a un continuo scambio di esperienze e di saperi, ai risultati legati alla mobilità delle persone e alla facilità con cui vengono accolte.
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L’immagine, dell’archivio storico del Lloyd Triestino, è tratta da qui