Foto di Agnese Divo
Il 18 maggio 9 associazioni cittadine hanno presentato all’amministrazione comunale le proposte per un Piano per la mobilità post-covid, in seguito alla raccolta di oltre 1.000 contributi avvenuta sul portale realizzato da TS4 trieste secolo quarto. L’iniziativa era volta innanzitutto a sottolineare l’urgenza di ripensare e ri-pianificare le strategie, spazi e modi legati alla mobilità in città.
Un lavoro di analisi che tiene in considerazione non solo la quantità e qualità degli spostamenti, ma soprattutto il nuovo contesto che ci si presenta, i bisogni e desideri della cittadinanza, mettendo al centro la qualità della vita stessa nel quadro urbano.
Uno dei punti emersi riguarda in modo specifico il quartiere di San Giacomo in relazione alla ciclopedonale Cottur, che a partire dal rione si snoda attraverso una vasta area peri-urbana, in diversi punti circondata dal verde delle campagne e dei boschi.
Nel corso delle sedute svolte dopo i primi incontri a San Giacomo, si è discusso più volte sullo stato e le potenzialità di questa arteria ciclopedonale. Abbiamo già esposto alcune considerazioni in un recente articolo comprensivo delle diverse azioni possibili nel quartiere e in questo caso entreremo più nel dettaglio, esponendo informazioni e dati utili per poter immaginare e, speriamo avviare, delle iniziative che valorizzino il percorso.
Come si sottolineava nel Piano per la mobilità, la ciclopedonale necessita di alcune migliorie: fisiche, per quanto riguarda la manutenzione della pavimentazione, lo stato degli attraversamenti e soprattutto, in una visione organica, della revisione e dell’intervento sul suo sistema di collegamenti con le altre reti di viabilità.
Guardando ad ulteriori dimensioni che riveste la Cottur, alcune azioni concrete potrebbero agire non solo sulla sicurezza e funzionalità della fruizione in senso stretto, ma apporterebbero un significativo valore sociale/aggregativo.
Sin dai primi giorni del graduale sblocco della quarantena, in cui è stato possibile uscire per passeggiare e svolgere attività motoria, la ciclopedonale si è rivelata un un punto di riferimento per la cittadinanza, anche per coloro che risiedono al di fuori del quartiere di San Giacomo. Più che un semplice percorso ciclopedonale, la pista Cottur si è rivelata essere un vero e proprio spazio pubblico “lineare” al servizio delle triestine e dei triestini.
La sua posizione centrale, i diversi accessi, il progressivo inserimento in zone sempre più verdi ma pur sempre vicine alla città, la rendono tra le altre ragioni, un’opzione molto gradita. Da un’osservazione in prima persona si può affermare che nell’ultimo mese è aumentata la sua fruizione ed è molto probabile che, con la bella stagione e le restrizioni sull’utilizzo dello spazio pubblico dovute al distanziamento fisico, vi sarà sempre più una ricerca di luoghi che consentano di svolgere attività ricreative e sportive in prossimità e all’aperto.
In particolare, ci siamo chiesti come valorizzare e dare un senso operativo alle casette poste all’accesso del percorso a San Giacomo.
Come anticipato, la collaborazione con FIAB è stata fondamentale: in diversi incontri hanno condiviso le loro conoscenze e la loro esperienza diretta sulle strutture. Fino a cinque, sei anni fa, grazie ad un bando vinto per il loro utilizzo, l’associazione vi aveva stabilito una sede satellite; una volta concluso il periodo stabilito dal bando, la Provincia ne ha aperto un altro, ma di tipo commerciale. Essendo andato questo a vuoto e non essendoci stata un’altra prospettiva di impiego da parte delle istituzioni, da quel momento in avanti sono rimaste chiuse entrando in un progressivo stato di degrado. A partire dallo scioglimento delle Province, le strutture sono diventate una questione di pertinenza della Regione, che sarebbe quindi uno dei possibili interlocutori ai quali rivolgersi per comprendere se vi sono già de destinazioni d’uso previste per il futuro o se eventualmente vi sono delle condizioni, vincoli particolari per immaginare una loro funzione.
A questo proposito, Federico Zandnich ci ha descritto come queste fossero state pensate inizialmente come un unico complesso, per questa ragione il bagno è presente solo in una delle due casette; inoltre hanno entrambe gli allacciamenti dell’acqua e dell’elettricità e sono divise tra una zona frontale a vista e un piccolo spazio antistante non esposto. Si rifletteva sul fatto che non siano facilmente presidiabili in modo permanente e per questa ragione abbiamo pensato che una riattivazione di questi spazi possa partire da attività puntali, eventi per i quali le casette possano fungere da appoggio. Inoltre, un’altra idea emersa nel corso degli incontri, si riferisce alla creazione di un piccolo laboratorio di manutenzione per le biciclette fai da te, degli strumenti messi a disposizione per essere adoperati in modo autonomo dai ciclisti, oltre ad uno spazio di condivisione di informazioni utili per chi la frequenta.
Chiaramente la situazione attuale implica di tenere in conto le disposizioni generali in merito all’uso degli spazi pubblici, ma sicuramente, oggi più che mai, c’è la necessità di comprendere come sfruttare al massimo l’esistente, specialmente se in disuso o abbandonato e quale senso e contenuti svilupparvi a partire dalle nostre stesse esigenze in quanto comunità di utenti.
Per queste ragioni restiamo in ascolto su altre possibili informazioni al riguardo e manifestazioni d’interesse.
Perfetta l’idea di una bike officina. Magari anche con l’opportunità di fare corsi : per chi è a digiuno totalmente di capacità meccaniche, per i più bravi che possono imparare a fare regolazioni più raffinate, per chi vuole imparare semplicemente a cambiare un copertone o a fissare i seggiolini portabimbi. Cose di questo tipo. Sempre comunque con un meccanico disponibile per piccole e grandi riparazioni. E magari (non so quanto sia lo spazio) la vendita di accessori legati alla bici.